La comunità ebraica acquese, presente in città dalla fine del Quattrocento, proveniva dall’area sefardita o spagnola e dall’area Askenazi o tedesca, come i cognomi di massima occorrenza richiamano: oltre a Levi e Debenedetti, Lattes, Foà, Bedarida da città spagnole e provenzali; Ottolenghi, dalla città tedesca di Oetlinghen. Scomparve dal 43/44, quando  furono deportati  28 ebrei che in Acqui erano nati, o vivevano anche da rifugiati o erano residenti. In quegli anni la comunità, cresciuta a metà Ottocento fino a raggiungere 500 componenti -il 12% dell’intera popolazione acquese- si era ridotta a 31 persone in seguito a trasferimenti  nei centri universitari e industriali. Nei secoli, dopo alterne vicende di interdizione, di proibizioni esercitate specialmente dalla chiesa locale post-tridentina, e di impoverimento di molti piccoli contadini che infine produssero due tentativi di pogrom al ghetto nel 1799 e nel 1848, la convivenza  tra cristiani ed ebrei, emancipati dal re Savoia Carlo Alberto nel 1848, fu dialettica e feconda. Nei decenni della belle époque gli ebrei, tutti alfabetizzati e molti laureati, furono con i cattolici la nuova classe dirigente della città modernizzandola profondamente nell’urbanistica, nel sistema di comunicazioni ferroviarie e viarie ed in campo socioeconomico, turistico  e culturale. Nel 1938 le leggi razziali li interdissero dalla scuola, dai pubblici uffici, dalle libere professioni, da ogni attività commerciale; costretti infine a svendere i loro beni, chi riuscì si nascose o emigrò per sfuggire alla deportazione.

L’itinerario si avvia da piazza Abram Levi, intitolata al direttore onorario delle Poste regie a Torino, che donò nel 1909 per testamento il Palazzo di famiglia, già di proprietà del conte Lupi di Moirano, con la clausola che sarebbe diventato sede del Municipio della città; come fu. Il palazzo, ristrutturato secondo canoni estetici neogotici, richiama momenti storici particolari della città. Durante la campagna napoleonica contro gli austrorussi fu sede degli alti comandi francesi e nel 1814 di papa Pio VII che, reduce dalla prigionia francese comminatagli da Napoleone, dal balcone salutò e benedisse la folla.

Prosegue verso la vicina via Garibaldi, che conserva il palazzo -gioiello di architettura neogotica- della famiglia ebrea Aimar produttrice di cappelli e il Negozietto, fino al 1938 sede della gioielleria De Benedetti, l’apripista della pattuglia di orefici ebrei acquesi.

All’intersezione della via con corso Italia, due negozi di pellame Palazzo AImar di proprietà della famiglia Dina, in stretta parentela con Salvador Dina libraio, tipografo responsabile della Gazzetta d’Acqui, e geniale editore. Queste vie, come le adiacenti e limitrofe, furono dal II Ottocento sede delle abitazioni e degli esercizi commerciali e finanziari degli ebrei emancipati.

Arriva -passando sotto la torre civica dove si ammira la lapide a ricordo dei militari italiani caduti in guerra, anche ebrei- in Piazza Bollente, già ghetto ebraico dal 1731 al 1848, ristrutturata negli anni Ottanta del secolo XIX su progetto che l’allora sindaco Saracco affidò all’architetto Leale; vi fu edificata nel 1888 la nuova monumentale Sinagoga -della quale si ammira l’esterno tuttora intatto- distrutta nel luglio 1971, la notte precedente il suo riconoscimento a monumento nazionale. Il monumento fu centro gravitazionale della vita comunitaria dove gli Ebrei discutevano problemi sociali della collettività, celebravano le feste religiose, ovvero i marcatempo della loro storia singolare, e tre momenti topici della vita di ogni persona: la nascita con la presentazione ufficiale al Tempio e l’imposizione del nome (per il maschio, anche la Brith milà o circoncisione); il Bar(Bat per le femmine) Mitzwah, con la lettura critica di un passo della Toràh; le nozze. Locali adiacenti la sinagoga ospitavano la scuola ebraica, la biblioteca di libri sacri e profani, la stanza del rabbino e quella del bidello, una piccola foresteria. Oggi una lapide bronzea affissa sotto i portici di via Saracco ricorda il Tempio e la sua breve durata.

 

acqui judaica 1Seguendo via Raimondi e fatti ottocento passi, si arriva al cimitero di via Salvadori, la Beth ha-hayim o casa della vita. Nell’area di 3664 mq sono sepolte tre generazioni e intere famiglie di acquesi di fede mosaica, dal 1837 al 2005: 830 sepolture singole ad inumazione -delle quali oggi 340 identificabili dalla pietra funeraria- disposte nell’ordine cronologico del decesso. Il luogo è tappa d’obbligo: archivio in pietra della plurisecolare storia della comunità locale, contiene le tombe di Samuel Levi che finanziò la scuola ebraica anche per bambini poveri; di sette rabbini tra cui Ottolenghi Azaria Bonajut e Adolfo Ancona; del banchiere Donato Ottolenghi, finanziatore della la causa dell’indipendenza italiana, come Israel e Jona Ottolenghi; dell’esule patriota Giuseppe Ottolenghi che da Londra si adoperò per il rimpatrio delle ceneri di Foscolo; di Abram Levi; di Ezechia Ottolenghi che, direttore dello stabilimento termale delle antiche Terme, promosse da vicesindaco la modernizzazione urbanistico/infrastrutturale della città; di Rafael Ottolenghi viceconsole a New York e al Cairo, oltrechè poligrafo, giornalista, filosofo; di Israel Ottolenghi che nel 1807 rappresentò al gran sinedrio di Parigi le comunità del Monferrato; di Giuseppe Salvador Ottolenghi ostaggio di Napoleone nel 1800. Molti i commercianti e gli artigiani ebrei che incrementarono l’economia cittadina, i librai che fecero cultura, i militari che nei vari gradi, da volontari e anche da partigiani diedero contributo personale e vita per la nazione Italia. Trentaquattro tombe ospitano ebrei dell’Est deceduti in Costa azzurra. Diversi i gruppi familiari attraversati tragicamente dalla shoah. Come museo a cielo aperto in funzione identitaria e socio/pedagogica della fede e della cultura mosaica presentate nella polisemia monumentale, epigrafica e artistico/simbologica di ogni pietra sepolcrale, nonchè del lutto offre incisioni e rilievi: il Maghen David, le tavole e i rotoli della Legge, il Libro, le mani benedicenti dei Leviti, la lampada ad olio a significare la luce di vita spirituale perenne, la melagrana e il grano, i gigli, l’arca santa, l’anfora chiusa che non riceve più né riversa acqua, il talled che la riveste, la quercia, la lulav, l’uovo totipotente. Oltre ai simboli della classicità funeraria come il serpente uroboro, la civetta, il papavero, il salice, la clessidra alata, le torce capovolte e, nella camera mortuaria, corredo per la sepoltura.

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ITINERARIO ACQUI EBRAICA

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