Il cimitero, Beth ha-hayim o casa della vita, fu aperto in via Salvadori nel 1836 per volontà congiunta delle Amministrazioni comunale e comunitaria in quanto il vecchio sepolcreto di via Trucco impediva l’ampliamento urbanistico verso la Bormida ed era ormai insufficiente a garantire sepoltura “separata dai cristiani” alla Comunità locale, allora di circa 400 persone e in forte incremento. L’area, di 3664 metri quadri, è cintata da alto muro perimetrale in pietra, concluso da copponi in funzione protettiva ed estetica. Contiene 830 sepolture singole (tre con due defunti), ad inumazione (ma due defunti sono stati cremati), delle quali attualmente identificabili all’incirca trecento, appartenenti a tre generazioni e intere famiglie acquesi di fede mosaica; 32 le tombe di ebrei dell’est deceduti a fine Ottocento a Sanremo e Mentone per TBC e sepolti in Acqui come cimitero viciniore; 7 i rabbini. L’ultima sepoltura risale al 2005. Dal cancello si accede ai due riparti: sulla destra, distribuite in nove allineamenti nell’ordine cronologico del decesso, le sepolture ottocentesche; sei gli allineamenti del riparto novecentesco, sulla sinistra.
Il sepolcreto è archivio in pietra della plurisecolare storia della comunità locale e della città ed è museo a cielo aperto con funzione identitaria e socio-pedagogica di fede e di cultura ebraica. La plurivalenza del monumento (storia locale e “grande”, cultura ebraica) è evidente nella polisemia – architetture, arte e simbologia, codice linguistico, onomastica e sistema di datazione – contenuta nelle pietre.
L’ordine cronologico delle fosse permette l’identificazione rapida del sepolto, ne restituisce visivamente la collocazione temporale nella storia comunitaria, dichiara il ruolo paritetico di ciascuno. La facies verticale delle matzevot -classica, neogotica, baroccheggiante- scelta su regolamento funerario, riconduce all’idea dell’ortoprassi come regola di vita tesa all’infinito, alla perfezione ed è simbolo dell’asse cosmico che unisce il congiunto sottoterra, il vivo sulla terra e il cielo. Le epigrafi – in ebraico-aramaico, bilingui o in italiano le novecentesche – richiamano nell’onomastica il fondamento della storia ebraica nella quale il nome (preponderante la matrice biblica) di ciascuno è anello della plurimillenaria catena del popolo eletto sulla terra e indicano il tempo di vita del defunto, ne sottolineano il profilo in famiglia e nella società, ne precisano le doti quali modello positivo di riferimento, chiudono con il compianto e il ricorrente auspicio di shalòm o di ricordo perenne attraverso il beneaugurante “possa il tuo nome essere avvinto nel nodo [memoria] dei viventi”. Le pietre sepolcrali ottocentesche riportano datazione (di nascita e di morte o, più spesso, solo di morte) ebraica con indicazione di giorno, mese, anno secondo il calendario luni-solare con incipit al 3760 a.e.v. (nella tradizione il 1° tisrì di quell’anno) e dichiarano il differente computo del tempo ebraico rispetto al mondo europeo occidentale. Infine l’ornato delle pietre contiene sempre forte simbolismo specifico del lutto e della cultura biblica, sia fitomorfo (melagrana, grano, gigli, rose, palma, quercia, salice), zoomorfo (leone, serpente, civetta [quest’ultima, simbolo di intelligenza, in bassorilievo su tomba di rabbino]) e di res quali la stella di David, il Libro, la lampada a olio a significare luce perenne, le mani benedicenti dei Leviti, l’arca santa nel palmeto, l’anfora chiusa che non riceve e non versa più acqua, il talled che la riveste, l’uovo totipotente, le tavole della Legge; ripresi anche dalla classicità funeraria sono la clessidra alata, le torce capovolte, i papaveri, la civetta.

La storia è richiamata da epitaffi di ebrei acquesi che furono co-protagonisti, tra Ottocento e primo Novecento, della modernizzazione della città come amministratori pubblici, liberi professionisti e imprenditori.
Samuel Levi istituì e finanziò per i poveri la scuola ebraica locale, denominata Pio Istituto Levi. Il rabbino Azaria Bonajut Ottolenghi che piantò l’albero della libertà nella piazza del ghetto nel 1799 provocando il primo pogrom acquese, scampato al pericolo, istituì la Yeshivà per approfondire studi biblici e del Talmud. Donato, Israel e Jona Ottolenghi, mazziniani, finanziarono la causa dell’indipendenza italiana. Giuseppe Ottolenghi esiliato a Londra come patriota si adoperò per il rimpatrio delle ceneri di Foscolo nel 1837. Per l’inaugurazione, i rabbini Bellom e Lazzaro Ottolenghi idearono e fecero incidere le epigrafi murarie dell’interno della sinagoga che sarebbe stata distrutta nel 1971; il rabbino Adolfo Ancona, appassionato ebanista, a sua volta realizzò arredi lignei.
Abram Levi per testamento (1909) donò al Comune, perché lo usasse come Municipio cittadino, il palazzo di famiglia in piazza Levi così intitolata in suo ricordo. Ezechia Ottolenghi, direttore delle Antiche Terme nell’ultimo ventennio dell’Ottocento e vicesindaco di Saracco allora ministro a Roma, curò la modernizzazione infrastrutturale e urbanistica della città. Rafael Ottolenghi (1860 -1917) fu viceconsole a New York e al Cairo, ma anche poligrafo, filosofo, giornalista, studioso del mondo e delle lingue antiche e semitiche, sionista e amante dell’Islam. Il prozio Israel fu chiamato al Sinedrio napoleonico a Parigi nel 1807 come rappresentante delle comunità del Monferrato; il banchiere Giuseppe Salvador, padre di lui e trisavolo di Rafael, sette anni prima fu sequestrato da Napoleone, di passaggio ad Acqui prima dello scontro con gli Austro-Russi a Marengo, e liberato previo riscatto: “Nel 1800 fu ostaggio delle forze della rivoluzione e molto sofferse” ricorda l’epitaffio. Il padre di Rafael corse il rischio di morte nell’assalto al ghetto dell’aprile 1848. Dei sepolti, molti i commercianti e gli artigiani che incrementarono l’economia cittadina, librai – come Salvador Dina, Elio Levi – che fecero cultura, militari che in diversi gradi e ruoli (anche da volontari nelle guerre di indipendenza e da partigiani) diedero contributo personale alla causa italiana. Diversi i gruppi familiari attraversati tragicamente dalla shoah.

A salvaguardia del sito e dei monumenti ebraici rimasti in città, oltre allo studio scientifico edito nel 2009, è stato approvato il progetto di visite guidate da volontaria culturale a far data dal 2011. Con le offerte ricevute anche da progetti finanziati, è stata “salvata” da crollo – e restaurata per essere piccolo Museo di arredi funerari restaurati quali il carro funebre ottocentesco e la barella per inumazioni, il pozzo e il camino, la porta d’ingresso e di infissi rifatti – la camera mortuaria e sono stati ideati e realizzati indicatori dell’antico ghetto, del Tempio, del cimitero, il Memoriale dei deportati ebrei e il monumento ai Giusti nell’omonimo Bosco concesso dal Comune di Acqui nel prato adiacente il cimitero.
Dal 2013 la grande Stella di David memoriale, incastonata nella parete in asse al cancello di ingresso, contiene i nomi dei 28 acquesi – nati, residenti, domiciliati, sfollati, rifugiati, catturati – vittime della shoah. Nella cappella neogotica è inumata Clotilde Ottolenghi, madre del conte Arturo di Monterosso che, come il prozio Jona (suo è il cippo memoriale concluso con mezzobusto del defunto e ornato con piante radicate di quercia; a lui si devono le scuole elementari Saracco, la sede della società operaria, il ricovero degli anziani a lato del Duomo, istituzione e finanziamento dello storico istituto professionale d’arte e molte donazioni …) fu grande cultore d’arte e benefattore.

Dal 2015 l’area verde adiacente il cimitero è diventata Bosco dei Giusti; due pietre di Langa e una targa in ottone ricordano a tutti “I Giusti che protessero, nascosero e salvarono dalla deportazione donne, bambini, uomini ebrei nel biennio 1943 -1945”. Come le pietre che escono ben fatte dalla cava e non necessitano di interventi dell’uomo, due piante di caco che fruttifica quando nessun’altra pianta lo fa, sono i simboli volutamente scelti per ricordare i Giusti: “teste ben fatte”, uniche proattive nell’immobilità/indifferenza/ostilità sociale.

Dal 2018 – 11 Pietre d’inciampo nel centro cittadino ricordano ebrei residenti deportati dalle loro case ad Auschwitz.

GIORNATA DELLA MEMORIA
Dal 2001 il Giorno della Memoria è commemorato in cimitero e presso le sedi storiche del ghetto e del Tempio; il corteo sosta al Bosco dei Giusti, alle Pietre d’inciampo; al luogo di fucilazioni di partigiani. In cimitero e presso il Tempio il Vescovo di Acqui e un rappresentante del rabbino di Genova, da sempre, recitano la preghiera per i deportati. Studenti degli Istituti scolastici acquesi leggono in memoriam i profili identitari dei 33 deportati acquesi ebrei (28) e non ebrei (5). Canti e musiche accompagnano la commemorazione civile.
L’iniziativa è promossa da: ACI, MEIC, ASSOCIAZIONE PER LA PACE E LA NON VIOLENZA, ANPI, CENTRO CULTURALE GALLIANO, COMMISSIONE DIOCESANA PER IL DIALOGO TRA RELIGIONI. Collaborano: Liceo Parodi e I.S. Levi – Montalcini, I.C. Saracco-Bella, I.C. Monteverde-San Defendente, Equazione, Archicultura, Fondazione De Rothshild di Rivalta Bormida, Associazione Memoria viva di Canelli. Patrocinano: Comune di Acqui, ISRAL.

GIORNATA DELLA CULTURA EBRAICA.
Dal 2009, con apporto volontario. Patrocini: Comune di Acqui; UCEI. Collaborazioni: Associazione Amici Musei acquesi, Fondazione de Rothschild, Centro Studi Galliano, Archicultura, Istituti scolastici acquesi.

TAVOLA PLANIMETRICA DEL CIMITERO: ing. ANDREA CHIARLO. 

TESTO PREDISPOSTO da LUISA RAPETTI

 

 

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